Sdrammatizzare gli attacchi di panico è
possibile!
Non
perché non se ne riconosca la drammaticità con cui si presentano
nell’esperienza e nella vita delle persone,
al contrario; ma una volta che se
ne comprenda il significato, e gli si permetta di svilupparsi, è facile che in
tempi brevi gli
attacchi di panico si attenuino drasticamente e spesso scompaiano del tutto.
Se si cerca timor panico sul dizionario, vi
si trova scritto: “timore improvviso, oscuro e irrefrenabile, come quello che
gli antichi ritenevano suscitato dalla comparsa del dio Pan; il dio della
natura intesa come forza vitale e
creatrice…”
E se
Pan è il dio della natura dentro di noi, egli può essere considerato il nostro
istinto. Cos’è dunque che temiamo
quando abbiamo un attacco di panico? Spesso il nostro istinto, qualcosa che ci
appartiene naturalmente, autenticamente ma che per qualche motivo ci fa
paura.
Possiamo
temere un nostro desiderio,
predisposizione, aspirazione, che si fa strada in noi, chiede di realizzarsi, e
di contribuire alla nostra autorealizzazione.
Li
temiamo perché non ci si sente in grado di realizzarli, spesso sbagliando …
perché sono in contrasto con l’immagine che abbiamo di noi, con quello che
“dovremmo” o “vorremmo” idealmente essere, con un senso del dovere interpretato
rigidamente …
Come
è successo a Marina, una donna di 45
anni che si è rivolta a me per i suoi attacchi di panico; e di cui sono emerse
paure e desideri.
L’educazione
rigida e un po’ sessista, da lei ricevuta in Veneto, aggravata da una madre
poco affettiva e succube di tale modello, erano in profondo contrasto con la
sua natura vitale, creativa, e con i suoi desideri di autonomia anche
affettiva, non solo lavorativa.
Si
costringeva in una convivenza con un compagno poco amato, per paura della
solitudine, e ad una certa remissività, in contrasto con il suo spirito combattivo.
Ecco
quindi presentarsi nella sua vita un
profondo e autentico desiderio di autonomia affettiva, ma allo stesso tempo il
timore di essa. Marina dichiara di aver bisogno di qualcuno a cui
appoggiarsi, di qualcuno che la difenda dalle difficoltà della vita; in realtà è
in grado di farlo in prima persona e il suo istinto lo sa, ma lei fa fatica a
riconoscerlo, privandosi così di tale soddisfazione.
Emerge inoltre e chiede di essere
espresso il suo spirito combattivo, da sempre presente in
lei, tanto da averle permesso di costruirsi un’autonomia lavorativa ed
economica, ma che Marina non ha mai del
tutto riconosciuto e legittimato nell’ambito affettivo e delle relazioni,
costringendosi ad una certa passività e remissività, che non le corrispondono.
Tali aspetti di lei premono per
emergere, perché sono legati alla sua natura e ai suoi compiti vitali, ma le
provocano panico e fantasie punitive.
Marina
infatti nella sua infanzia e adolescenza si è confrontata con un padre talvolta
violento, soprattutto nel momento in cui ne veniva messa in discussione
l’autorità. Tuttora è preda di timori e
fantasie punitive, come se avesse proiettato l’immagine di suo padre su una
qualche autorità sovrannaturale ( un dio, il destino, il caso …) che potrebbe
punirla qualora si discosti dai modelli appresi.
Lo spazio non giudicante e dialogico
della psicoterapia, fa emergere i suoi bisogni per quello che sono, con una
visione più realistica di sé e degli altri, e di un possibile
confronto fra persone. Per lei non si
tratta più di confrontarsi con tradizioni immutabili, ma solamente con le personali
convinzioni di una madre o di una nonna, legittime quanto le sue. Non si tratta
più di relazionarsi con un padre-padrone, pur vissuto così nell’infanzia, né con
un dio, di cui temere la vendetta (phthònos theòn) come facevano gli antichi
greci; ma soltanto con un uomo, con cui essere più o meno in accordo o in contrasto.
Questo
sfondo le permette di portare a compimento i suoi compiti vitali con sempre
meno timori, talvolta con leggerezza, spesso con soddisfazione e piacere.
In psicoterapia si parte dalla paura e
ben presto si lavora su aspetti propositivi, evolutivi
della persona. Marina, che temeva l’autonomia, provando a viverla, prende coscienza di potercela fare e ne
sperimenta in realtà la leggerezza. Il focus non è più la paura e il suo
eventuale decondizionamento, ma desideri, aspirazioni, bisogni, capacità, che
iniziano a farsi strada e trovano spazio nella personalità del paziente.
Il
luogo dialogico, non giudicante, della psicoterapia permette a tali bisogni di
emergere, di essere considerati più realisticamente, di svilupparsi e
realizzarsi; Marina scopre la propria capacità di affrontare in autonomia la
vita adulta, e la naturalezza di tale percorso, prendendo le distanze da un
retaggio culturale e storia familiare che non lo legittimava pienamente.
In solitudine tali bisogni emergevano
sotto forma di panico; nella relazione dialogica con la terapeuta, invece di
proiettare ombre paurose, prendono pian piano forma e significato nella loro
concretezza e trovano l’accoglienza necessaria al loro sviluppo.
Si tratta di lasciare emergere non solo
quello che è il proprio istinto ( “il fiume che scorre sotto il fiume” secondo
Clarissa Pinkola Estès), ma anche una visione più realistica di sé e dei
rapporti, altro “fiume” potente e talvolta nascosto a noi stessi.
Questa visione ci permette di vivere relazioni
paritarie e dialettiche, che a loro volta rendono più spendibili i nostri
desideri, aspirazioni, e “istinti”, con meno paure e sensi di colpa.
Questo argomento viene trattato anche nel mio sito, nel post: Attacchi di panico
Questo argomento viene trattato anche nel mio sito, nel post: Attacchi di panico