mercoledì 6 agosto 2014

Sesso: dovere o piacere? Perché l’ansia da prestazione sessuale.

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Vorrei riflettere con voi sui motivi della notevole diffusione di problematiche sessuali, di cui l’ansia da prestazione sessuale è una delle principali sul versante maschile, ma ha anche un ruolo significativo nei problemi femminili.

Soprattutto vorrei riflettere su una diffusa difficoltà, che potenzialmente riguarda ognuno di noi, a raggiungere una piena soddisfazione nella sfera della sessualità.

E’ curioso che ciò si verifichi in un periodo storico in cui l’evoluzione socioculturale ha portato l’individuo ad essere mediamente più libero da sensi di colpa e inibizioni, ben informato circa le diverse posizioni e tecniche amatorie, favorevole ad un atteggiamento obiettivo e scientifico verso la sessualità e così via.

Dopo aver sciolto pregiudizi e allentato divieti morali legati alla sessualità, proviamo a capire cosa altro pesa sulla possibilità di coltivare liberamente e senza troppe ansie il piacere.

L’ansia da prestazione consiste nel timore del manifestarsi di una difficoltà sessuale, talvolta già vissuta in passato, che riteniamo non ci permetta di soddisfare appieno il nostro partner. Da tale timore consegue ansia e ipercontrollo che, interferendo con il coinvolgimento sessuale, divengono essi stessi origine del problema temuto.

E’ comprensibile avere il desiderio di soddisfare il proprio partner, ma quando l’ansia prevale, è perché colleghiamo un po’ troppo strettamente il bisogno di soddisfarlo con la conferma di noi stessi e della nostra adeguatezza ed autostima. L’esperienza sessuale è allora legata più che alla felicità di coppia e alla comune ricerca del piacere, ad un proprio bisogno di conferma attraverso l’altro. L'eccessiva ricerca di approvazione da parte dell’altro, come conferma della propria adeguatezza e autostima riduce la spontaneità; anche perché spesso sull’altro si proiettano i propri timori di inadeguatezza e il proprio atteggiamento auto-giudicante.

Il primo dubbio che è utile porsi è se siamo sicuri che il nostro partner si aspetti davvero “una prestazione”. Spesso, infatti, se ha una relazione personale con noi, e non ci considera puramente oggetti sessuali, è probabile che si aspetti attenzioni più che prestazioni, e sia addirittura infastidito da un atteggiamento più attento alla prestazione che alla relazione.

Riflettendo sulla parola stessa "prestazione", essa richiama l'idea di una prova fornita, intesa a richiamare l'attenzione sulle particolari capacità di colui che si esibisce. La prestazione ha un carattere pubblico, nel senso che il modo in cui l'atto viene eseguito è soggetto all'osservazione e alle critiche, se non di un pubblico, comunque di un'altra persona. La soddisfazione del partner diviene più importante del proprio piacere, con la conseguenza di un appagamento sessuale soltanto parziale.

Può essere utile modificare allora i termini della questione: non che l’altro non sia importante, ma lo è come partner, con esigenze e bisogni in parte diversi dai nostri, da esplorare insieme; non come specchio che ci confermi.
E’ importante quanto lo siamo noi, non di più.
Paradossalmente proprio il mettere al centro il bisogno di conferme narcisistiche della propria potenza sessuale o avvenenza, dà troppa importanza all’altro, a scapito di sé, perché da lui dipendiamo per tali conferme.

Effettivamente al giorno d’oggi il punto debole dell’individuo non è più tanto il senso di colpa dovuto a desideri sessuali o aggressivi moralmente riprovevoli come ai tempi di Freud, ma il senso di inadeguatezza per non essere sufficientemente performanti o riconosciuti sul piano lavorativo, sociale, e anche sessuale, collegando così strettamente l’approvazione, ammirazione dell’altro/altri alla propria autostima.

Per quanto riguarda la sessualità, l’abbiamo sottratta dall’ambito dei divieti morali, e l’abbiamo sottoposta a quello della prestazione e del narcisismo (cerco conferme della mia virilità o della mia avvenenza). Dov’è dunque il vantaggio? Ci troviamo sempre nell’ambito del dovere (non più tanto il dovere di attenersi a prescrizioni morali,  quanto quello di essere all’altezza di prestazioni e aspettative).

E allora il piacere, che per esprimersi necessita principalmente di spontaneità, nella migliore delle ipotesi  è un estraneo che si imbuca ad una festa; nella peggiore rimane fuori dalla porta.

Cosa fare per ridare al piacere il ruolo di protagonista?

Innanzitutto considerare il partner realisticamente per quello che è: non uno specchio che ci dia conferme o disconferme, che decreti il nostro successo o fallimento, ma un partner di una relazione sessuale in cui è centrale la comune ricerca del piacere, fatta però ognuno a modo proprio e a partire dalle proprie esigenze; tale ricerca richiede dunque ascolto, e stimolo reciproco alla spontaneità, in consonanza con l'autentica natura emozionale della sessualità.



1 commento:

  1. Buongiorno dott.ssa Valeria,

    Premetto che non sono un operatore del settore, ma semplicemente una persona, un uomo che cerca di fare qualche semplice riflessione su un tema che, pur in maniera diversa, coinvolge tutti gli uomini e le donne, ma di cui si ha ancora timore e vergogna di parlarne, nonostante tutte le liberazioni cui già faceva accenno il suo articolo.
    Innanzitutto, penso che l’argomento da lei trattato sia da inquadrare all’interno di una coppia in cui ci sia una relazione sentimentale in qualsiasi punto della sua evoluzione.
    E’ chiaro che il dato di partenza è: uomini e donne sono diversi e questa diversità impatta tremendamente nella sfera sessuale. Consideriamo anche solo il loro approccio: si ritiene che quello dell’uomo sia in maggioranza visivo e quello della donna in maggioranza cinestetico/uditivo.

    Sono d’accordo nel dire che in noi uomini l’ansia da prestazione sessuale sia conseguente alla richiesta di conferma della nostra adeguatezza e autostima attraverso il piacere dato. Ma è anche semplicemente la preoccupazione di fare brutta figura, legato probabile al fatto che i maschi non hanno ancora pienamente metabolizzato che la maggior parte delle donne non desiderano che l’attenzione dell’uomo sia esclusivamente concentrata sulla performance fisica, ma il loro coinvolgimento e il loro culmine del piacere sono la conseguenza di un’attenzione, da parte del loro uomo, molto più ampia e completa di quanto possa essere necessario a noi. Succede poi che molte donne non amino che l’attenzione dell’uomo sia focalizzata sul loro piacere fisico, questo le mette in imbarazzo e di conseguenza tende a inibire l’azione dell’uomo.
    In genere, ogni partner pensa che il proprio modo di vedere la sessualità sia chiara ed evidente per l’altro, e così non si arriva all’ascolto e allo stimolo reciproco di cui parla l’articolo.
    Io non sottovaluterei anche l’aspetto “competizione”, cioè il timore del maschio di essere giudicato dalla propria partner sessualmente inferiore rispetto ai precedenti amanti, e nei maschi con mentalità ancora più contorta, forse anche rispetto a possibili amanti futuri. Ahimè! Qui siamo ancora all’epoca preistorica.
    Comunque, con questo tipo di ansia sono molto importanti l’atteggiamento di complicità, affetto e comprensione che la donna deve avere per aiutare il proprio partner a superare la vergogna e la paura di non essere all’altezza. L’uomo invece non deve aver timore di mostrarsi debole e comprendere che anche nei momenti di non erezione si può dare e ricevere piacere, attraverso il gioco, l’ascolto dell’altro, esprimendo le reciproche fantasie e desideri, creando complicità, esprimendo i propri sentimenti.
    Cerchiamo in ogni caso di non razionalizzare il tutto, questo secondo me non farebbe che accentuare l’ansia da prestazione. Non bisogna aver paura di lasciar andare l’istinto e l’animalità che permea il sesso, non si fa nulla di peccaminoso o di “sporco”.

    In conclusione, penso che le coppie in questi ultimi decenni abbiano comunque fatto un passo in avanti nel cercare di comprendere i propri desideri e quelli dell’altro e quindi nel trovare anche gli strumenti per superare questo tipo di ansia. Dall’altro, penso che i media abbiano sicuramente influenzato il nostro modo di relazionarci all’altro, tralasciando il valore che possono avere i segnali lanciati dal corpo, sostituendoli con metodologie più informali e propinandoci una serie di modelli che rincorrono, chi più chi meno, la perfezione, andando così a influenzare l’autostima di molte persone.

    Saluti!
    Gabriele

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