martedì 12 novembre 2013

"Sto imparando più da mio figlio di quanto abbia imparato dai miei genitori"

Prendo spunto da una considerazione di una paziente per parlare di relazione con l'altro da sé e apprendimento.
I genitori spesso sentendosi schiacciati dalla responsabilità dell'educarci, si sono posti nei nostri confronti più come autorità che come persone, pretendendo da noi adeguatezza a modelli. Certamente questo ci ha insegnato comportamenti e ci ha fatto apprendere competenze; ma per quanto riguarda il compito principale dell'esistenza, che è apprendere la convivenza con l'altro da sè e il rapporto io-tu, nella loro irriducibile differenza, il loro porsi come autorità ne ha diminuito i potenziali stimoli nei nostri confronti. Il loro porsi come autorità può aver stimolato dipendenza o ribellione ( che è poi un'altra forma di dipendenza, detta "contro-dipendenza"), ma meno quel rapporto, fatto talvolta di incomprensioni e fatiche, sempre di limitazioni reciproche, ma anche di profonda dolcezza, che è la scoperta e la convivenza con l'Altro da noi, impegnato nei nostri stessi problemi esistenziali, ma a modo Proprio.
I figli dal canto loro si pongono inevitabilmente come quello che sono e sentono, talvolta resistono ai modelli da noi proposti, e sono così portatori di un notevole potenziale di apprendimento.
I nostri figli ci aiutano a rapportarci con quello che realmente sono, rinunciando alla nostra immagine ideale di loro, ma anche di noi stessi come genitori. 
Ciò non vuol dire rinunciare al proprio ruolo genitoriale, fatto di responsabilità e affetto, ma vuol dire autorizzarsi a viverlo a modo proprio, come Maria, Giovanna, Francesco... accettando che anch'essi vivano l'essere bambini, ragazzi, figli a modo irriducibilmente loro.